La Dionea muscipula (conosciuta anche come “venere acchiappamosche“) è una pianta carnivora appartenente alla famiglia delle Droseraceae, ed è l’unica specie appartenente al genere Dionaea.
È una piccola pianta erbacea perenne, che, da adulta, arriva a misurare dai 10 ai 14 cm. Le sue foglie sono disposte a rosetta attorno ad un punto centrale e cambiano posizione a seconda della stagione: durante il periodo invernale (quando entrano nella fase di dormienza), infatti, stanno abbassate verso il suolo, mentre d’estate si ergono dritte verso l’alto. Il prolungamento delle foglie, inoltre, costituisce la trappola con la quale la Dionea cattura gli insetti.
Le radici di questa carnivora sono lunghe e sottili, arrivando talvolta a superare i 20 cm. I graziosi fiorellini bianchi, a cinque petali, sbocciano tra maggio e giugno sostenuti da un lungo stelo (generalmente attorno ai 15/20 cm), così da evitare che gli insetti impollinatori cadano vittime delle trappole poste sul fogliame. Il loro numero può variare da uno a quindici, e la pianta raggiunge la maturità sessuale attorno ai quattro, cinque anni di vita.
Il periodo di fioritura in natura, indicato tra maggio e giugno, potrebbe variare se l’esemplare venisse coltivato in un ambiente diverso dal suo habitat naturale. Molti coltivatori scelgono di recidere lo stelo fiorale quando la pianta è ancora giovane, questo per evitare che tutte le energie a sua disposizione vengano convogliate nella produzione dei fiori e dei semi, anziché nello sviluppo dell’apparato fogliare e delle trappole. Pertanto, è consigliato procedere a questo taglio fino a che la rosetta di foglie non abbia raggiunto un diametro di circa 15/20 cm.
Oltre al periodo di fioritura, vi sono altri “periodi” che scandiscono la vita della Dionea. Indicativamente da marzo ad ottobre vi è il cosiddetto “periodo di sviluppo”, durante il quale la pianta continua a produrre foglie; da novembre a febbraio, invece, intercorre il “periodo di dormienza”, durante il quale la produzione di fogliame si sospende e la pianta va a riposo. Non bisogna preoccuparsi se, durante questo periodo, le foglie anneriscono e le trappole non si chiudono più: è un processo normale, che interessa tutte le varietà durante questa fase (l’attività delle radici resta, comunque, inalterata).
Una piccola curiosità: il nome deriva dal greco antico Diōnâia (letteralmente “colei che è nata da Dione”), epiteto attribuito ad Afrodite, la dea dell’amore e della bellezza. Il senso di tale attribuzione risiede nel fatto che, anche per quanto riguarda la pianta carnivora, la “preda” viene attratta dalla bellezza e dalla piacevolezza che si offrono ai suoi sensi, salvo poi cadere vittima di una misera fine. Si racconta, inoltre, che non appena la vide, Darwin la soprannominò “la pianta più spettacolare del mondo”: grazie alla conformazione delle sue trappole, che ricordano una bocca dentata che si chiude per inghiottire l’insetto, infatti, la Dionea è diventata, nell’immaginario comune, la pianta carnivora per antonomasia.
Indice
Ambiente
Questa pianta carnivora è originaria degli Stati Uniti, più precisamente della Carolina del Nord e del Sud, dove spontaneamente cresce in soleggiate e umide praterie, dal terreno sabbioso e povero di materie organiche. Se si desidera coltivarla in vaso, il mix di terreno ideale è composto da 2/3 di torba acida di sfagno e 1/3 di perlite, oppure 3/5 di torba e 2/5 di perlite (ogni coltivatore esperto adotta una sua “ricetta” personale per la composizione del terriccio, tuttavia quelle indicate risultano essere le più facili da procurarsi e le migliori in termini di risultati ottenuti nella coltivazione); è possibile utilizzare anche sabbia e/o ghiaia di quarzo, tuttavia ne è sconsigliato l’uso, in quanto vanno ad appesantire il terreno, senza apportare considerevoli miglioramenti in termini di sviluppo della pianta (se non si dovesse avere a disposizione la perlite, allora sarebbe comunque meglio un rinvaso in sola torba pura di alta qualità). Il consiglio, infine, è quello di diffidare delle torbe bionde per acidofile che si trovano in commercio, in quanto hanno un ph generalmente non adeguato (>=4) e sono, spesso, arricchite con fertilizzante (altamente velenoso per la pianta carnivora). Per stimolare la crescita della Dionea si può, eventualmente, utilizzare un po’ di vermiculite, ma mai in dosi superiori al 10% del composto.

Fiore della Dionea
Per quanto riguarda l’esposizione alla luce, questa pianta è nota per il suo amare la luce del sole. Tuttavia, durante i mesi più caldi, è opportuno ripararla dai raggi diretti con un apposito telo ombreggiante, onde evitare scottature sulle foglie e stress all’esemplare. È sempre bene tenerla al riparo dalla luce diretta, invece, subito dopo aver effettuato un rinvaso, un trattamento antiparassitario o qualora si ravvisino segni di debilitazione.
Questa carnivora è una pianta da esterno, pertanto non va tenuta in casa, soprattutto durante il periodo vegetativo. Nei mesi più freddi, è possibile spostarla in apposite serre fredde o altri luoghi adatti (come cantine o garage, purché ben illuminati), così che possa abituarsi a quantità di luce ridotte. Se le temperature dovessero abbassarsi bruscamente, è possibile mantenere la Dionea anche in un luogo buio, solamente, però, durante i giorni più freddi.
Temperatura
La temperatura ideale da mantenere per una corretta coltivazione della Dionea varia a seconda del periodo: durante la fase vegetativa (marzo/ottobre), è bene che la temperatura sia compresa tra i 20° e i 38°C, mentre, durante la fase di dormienza, questo range si abbassa e la temperatura deve restare compresa tra i 2° e i 10°C.
Dato il suo territorio di origine, questa carnivora riesce a sopportare discretamente leggere gelate. Tuttavia, se questo periodo di freddo acuto dovesse prolungarsi per lungo tempo, sarebbe doveroso spostare la pianta in un luogo dove la temperatura rispetti quella indicata per il periodo di riposo (2°-10°C), pena il rischio di non sopravvivenza.
Mantenimento
In natura, la Dionea è considerata una carnivora semi-palustre, pertanto ama abbondanti quantità d’acqua. Per la coltivazione, queste variano a seconda della fase che la pianta sta attraversando. Durante il periodo vegetativo, è necessario lasciare sempre nel sottovaso almeno 2/3 centimetri di acqua (prestando attenzione, tuttavia, a che il suo livello non sia troppo alto di modo che non vada ad inzuppare le radici dell’esemplare); il consiglio è quello di versare direttamente il liquido nel sottovaso, anziché annaffiare dall’alto. Durante il periodo di riposo, invece, l’apporto idrico va ridotto: l’acqua nel sottovaso deve restare di circa un centimetro e bisogna attendere che si asciughi tra un’innaffiatura e l’altra. Durante questa fase è sufficiente assicurarsi che il terreno resti umido, evitando che si secchi. Come per le altre piante carnivore, ricordiamo che l’acqua da utilizzare deve essere quella piovana (evitando la prima caduta, contenente polveri industriali e altri elementi nocivi) o demineralizzata; eventualmente, anche l’acqua minerale in bottiglia può andare bene, a patto che abbia un residuo fisso inferiore ai 50 mg/l.

Stelo della Dionea
La Dionea, inoltre, ama essere lasciata sotto la pioggia, la quale pulisce i residui delle prede dalle trappole e dilava il terreno, sciogliendo tutte le sostanze che si formano e si accumulano in superficie, non necessarie alla pianta. Attenzione, però: in caso di forti acquazzoni è bene tenerla al riparo, in quanto i forti scroscii potrebbero danneggiarla.
Per quanto riguarda la sua nutrizione, all’aperto questa carnivora provvede autonomamente a procurarsi il “cibo” necessario alla sua sopravvivenza. Se si desidera (soprattutto per la curiosità di vedere come funziona il meccanismo della trappola), le si possono fornire insetti vivi (questa condizione è necessaria, altrimenti la trappola li rifiuterebbe e non si chiuderebbe), ma non più di 2/3 al mese. Un aspetto importante è non far scattare le trappole “a vuoto”: questo richiederebbe un enorme dispendio di energia alla pianta, non bilanciato dall’assunzione dei nutrienti, che potrebbe fortemente debilitarla.
Infine, per quanto riguarda la concimazione, questa non è necessaria ed è assolutamente sconsigliata a coloro che si approcciano da neofiti al mondo delle piante carnivore, in quanto uno scorretto dosaggio potrebbe avvelenare la pianta e causarne la morte.
Moltiplicazione
Come accade ad altre piante carnivore, anche la Dionea tende a riprodursi autonomamente in diverse piantine; inoltre, può essere riprodotta anche per talea o per seme, sebbene quest’ultimo procedimento richieda periodi di tempo molto lunghi (dai due ai cinque anni a seconda della varietà) affinché si possa ottenere un esemplare adulto.
Moltiplicazione per divisione “spontanea”
Per ottenere nuove piante di Dionea, è sufficiente attendere che la pianta madre produca nuovi getti, o sulla parte apicale o sulla parte più “vecchia” del rizoma. Essendo attaccati all’esemplare originario, questi getti crescono forti e abbastanza rapidamente; inoltre, una volta ripiantati, daranno una carnivora uguale alla pianta madre, condividendone il codice genetico. Generalmente, questi si staccano da soli dalla Dionea, oppure vi rimangono attaccati in modo così leggero che basta reciderli delicatamente e poi rinvasarli, per riprodurre la pianta.
Moltiplicazione per seme
Questo procedimento è, generalmente, quello meno adottato, in quanto più difficile da realizzare e richiedente i tempi di attesa più lunghi. È, tuttavia, l’unico che permette di ottenere piante aventi un codice genetico diverso da quello della pianta madre.
Il primo passo è ottenere i semi: questa operazione non è semplicissima, in quanto i fiori della Dionea sono sì autofertili, ma non autoimpollinanti. Ciò significa che bisogna prelevare il polline dai fiori, e poi servirsi di un impollinatore per far produrre loro i semi. Una volta raccolti, questi andranno adagiati subito sul terreno (lo stesso usato per la coltivazione) e il semenzaio andrà riposto in un ambiente luminoso (non a contatto diretto coi raggi solari), coperto con una pellicola trasparente forata, così da favorire il mantenimento dell’umidità al suo interno. Bisogna, tuttavia, controllare che vi sia un certo ricircolo dell’aria e che la temperatura non salga eccessivamente. Trascorsi 1/2 mesi, dovrebbero spuntare le prime piantine.
Moltiplicazione per talea
Ve ne sono di diversi tipi: talea di foglia, di rizoma o di stelo floreale. Per quanto riguarda la talea di rizoma, è bene operare quando si procede al rinvaso della pianta (in altri momenti è sconsigliato, in quanto si andrebbe a stressare la Dionea, col rischio di danneggiarla). Per questa operazione è sufficiente procurarsi una porzione di rizoma dalla pianta madre e interrarlo nello stesso mix di terreno utilizzato solitamente. Il consiglio è quello di avvolgere la sezione di rizoma con sfagno vivo, così da evitare la formazione di muffe e favorire un sano processo di crescita. Generalmente, entro un mese dovrebbero iniziare a spuntare le nuove piante, del tutto identiche alla pianta madre.
Per la talea di foglia è consigliato utilizzare foglie già adulte e robuste, abbastanza grandi da poter fornire un ottimo risultato finale. Anche in questo caso, il consiglio è quello di aspettare il momento del rinvaso, quando è più facile staccare la foglia dal rizoma al quale è collegata. Attenzione, però, a staccare questa parte correttamente: è bene, infatti, che la foglia raccolta comprenda anche la sua zona più bassa e prossima al rizoma, generalmente di colore biancastro (questo perché quella porzione è ricca di tessuto meristematico, un tessuto che, moltiplicandosi, è in grado di ricreare tutti i tessuti della pianta). Una volta ottenuta la talea, questa va piantata nel terreno in modo analogo alla talea di rizoma; trascorso un tempo variabile tra uno e tre mesi, dovrebbero spuntare la nuove piantine.
Infine, per quanto riguarda la talea di stelo floreale, questa è del tutto analoga alla talea di foglia, con la differenza che la porzione viene ricavata dall’infiorescenza. Il consiglio è quello di ricavare una sezione lunga dai 5 ai 10 cm, procurandosela nella zona più bassa possibile.
Avversità
La Dionea è una pianta carnivora particolarmente resistente agli attacchi parassitari (è quasi, infatti, del tutto immune all’attacco delle cocciniglie), alle malattie e alla formazione delle più comuni muffe. Ciò che può disturbarla sono, in particolar modo, gli afidi, il ragnetto rosso e patologie quali l’antracnosi e il phytium.

Dionea in vaso
Per quanto riguarda i primi, spesso non sono subito visibili a occhio nudo, e i primi sintomi sono una deformazione delle parti aeree, un deperimento generale della pianta e la comparsa delle cosiddette “esuvie degli afidi”, che altro non sono che i resti derivanti dalla muta di questi parassiti. Se il problema è localizzato a pochi esemplari, allora per risolverlo si può immergere quelli colpiti in acqua per circa 12/24 ore: la pianta non ne risentirà (a patto che non sia troppo piccola o già debilitata) e gli afidi annegheranno. Se, al contrario, il problema risultasse più esteso, allora sarebbe meglio intervenire con appositi antiparassitari a bassa tossicità e breve permanenza nell’ambiente, utilizzati anche in agricoltura biologica. Il consiglio è quello di rivolgersi al consorzio agrario o al vivaio specializzato di fiducia, per trovare insieme la soluzione migliore.
Il ragnetto rosso, invece, è un acaro appena appena visibile ad occhio nudo sotto forma di piccola macchiolina sulle foglie o sugli steli. La sua presenza è riscontrabile dalle lesioni che la pianta manifesta (come, ad esempio, un cambio di pigmentazione o un ingrossamento dei tessuti) o dalle ragnatele che questi aracnidi tessono. L’invasione di questi ragnetti può provocare seri danni alla pianta, in quanto, nutrendosi del contenuto delle cellule e, quindi, svuotandole, le foglie perdono la loro capacità fotosintetica: diventano di color bronzo, si disseccano e cadono, causando un generale indebolimento all’intera pianta. Preferendo i climi caldi e secchi, qualora questi parassiti invadessero le piante sarebbe bene mantenere quest’ultime bagnate e creare intorno a loro un ambiente umido, vaporizzando spesso dell’acqua, anche sulle lamine inferiori delle foglie. In alternativa, si può procedere anche in questo caso all’immersione, da ripetere frequentemente e per pochi minuti.
Un’opzione, tuttavia costosa, per contrastare il ragnetto rosso è anche l’utilizzo dei suoi predatori naturali, come ad esempio le coccinelle. Queste, però, rischierebbero di essere inghiottite dalla pianta stessa, rendendo, così, vani i loro sforzi di proteggerla. Se l’infestazione è localizzata, si può passarci sopra delicatamente un panno imbevuto di una soluzione a base di acqua e alcool, tuttavia, data la conformazione della pianta, per parte interrata, non sempre questo rimedio risulta efficace. Come ultima opzione, nei casi più persistenti, non rimane quindi che l’uso di prodotti chimici.
Per quanto riguarda l’antracnosi, questa è un’infezione che può essere causata da varie tipologie di funghi. I primi sintomi (variegature sulle trappole e perdita della colorazione rossastra) possono essere causati anche da altri fattori, pertanto non sempre si riesce a diagnosticare in tempo la presenza di questa fitopatologia. Trascorre parecchio tempo, infatti, tra l’incubazione e il manifestarsi della necrosi, momento nel quale si può affermare con certezza che la pianta è stata infettata. La prima cosa da fare se se ne sospetta la presenza, è isolare la pianta presumibilmente colpita dalle altre (di modo che le spore emesse dal fungo non colpiscano anche gli altri esemplari) e procedere con un trattamento antifungino, trattando anche le piante sane a scopo preventivo.
Infine, in merito al phytium, questo è conosciuto anche come “marciume del colletto e delle radici” e si diffonde rapidamente da una pianta all’altra, soprattutto tra quelle più deboli e debilitate. È una patologia che si sviluppa in ambienti umidi, con temperature attorno ai 20°C, e si manifesta attraverso la formazione di marciume e macchie scure sulle parti colpite. Al momento di queste manifestazioni, l’infezione è già in stato avanzato, pertanto la pianta risulta molto deperita. Ciò che si deve fare è senza dubbio isolarla dalle altre, poi trattarla con prodotti specifici.
Come cattura gli insetti
Per capire l’affascinante meccanismo meccanico che sta alla base del funzionamento della trappola della Dionea, bisogna prima spiegarne la sua conformazione.

Cattura di un insetto
La trappola, una tra le più fulminee del regno vegetale (lo scatto della chiusura avviene poco più che in soli 0,1 secondi), è costituita da una nervatura centrale alla quale sono attaccati due lobi fogliari, con un’inclinazione che può variare dai 45° ai 90°. Questi lobi sono formati al loro interno da cellule contenenti acqua compressa, in grado di rilasciarla in una frazione di secondo. Alla loro base vi possono essere fino a cinque strati di questo tessuto acquoso, mentre verso l’esterno, questo si riduce notevolmente fino quasi a diventare assente. Il margine esterno è di forma arcuata ed è dotato di ciglia rivolte generalmente verso l’interno. I ricettori della trappola (detti “trigger”) sono posizionati sulla superficie centrale dei lobi, mentre sulla parete interna, verso il bordo dei lobi, sono posizionate le ghiandole aventi il compito di secernere la sostanza zuccherina per attirare gli insetti. Generalmente, la parte centrale di questo meccanismo è di un bel color rosso, mentre la parte esterna è verde (questi colori possono variare a seconda del periodo di vita della Dionea).
Il funzionamento della trappola può essere considerato un capolavoro di ingegneria naturale. Affinché i due lobi si chiudano, è necessario che alle cellule acquose arrivi un impulso elettrico, superiore alla cosiddetta “soglia di innesco”. Un primo impulso arriva quando l’insetto, attirato al centro della trappola, urta uno dei trigger ivi presenti. L’impulso generato non è sufficiente allo scatto, pertanto la preda è, in questo momento, ancora salva. La carica generata da questo tocco, però, ha bisogno di circa 30/35 secondi per esaurirsi fino a neutralizzarsi: se l’insetto dovesse urtare nuovamente un trigger (non necessariamente lo stesso) prima che questo lasso di tempo sia trascorso, la somma dei due impulsi elettrici sarebbe sufficiente a superare la soglia d’innesco e a raggiungere le cellule acquose, le quali darebbero il via al processo chimico di chiusura dei lobi.
Il fatto che la trappola non si attivi subito al primo contatto è, in realtà, una strategia fondamentale per la sopravvivenza della pianta: se avviene solo un urto nell’arco di tempo sopra indicato, probabilmente a toccare il ricettore è stato qualcosa di inanimato, pertanto far avviare il processo di cattura e digestione sarebbe solamente un dispendio inutile di energia.
Il processo chimico che avviene non appena superata la soglia di innesco è tale per cui le cellule acquose cedono immediatamente il liquido in esse contenuto, perdendo il loro turgore (gonfiore) e, di conseguenza, la pressione che teneva le due estremità aperte. In poco più di un decimo di secondo, i lobi si chiudono e le loro ciglia formano una specie di gabbia dalla quale l’insetto non può più scappare. In seguito, i lobi si serrano ermeticamente tra loro e, piano piano, si appiattiscono così tanto da saldarsi l’uno all’altro. Questo processo avviene per evitare che i succhi prodotti dalla digestione fuoriescano dalla trappola, ma anche per impedire ad agenti esterni di entrarvi durante questa fase delicata.
La digestione perdura fino a quando dell’insetto non rimane che l’esoscheletro; a quel punto, assorbiti tutti i nutrienti, la pianta ritrae i succhi gastrici e si prepara per la cattura di altre prede. Il processo di apertura dei lobi è esattamente l’inverso a quello di chiusura.